Tutti noi abbiamo in testa il senso generale delle smart cities, ma dobbiamo fissare meglio questo concetto. È il pensiero di Vicente Lopez Ibor, autorevole manager spagnolo con solido background nelle energie rinnovabili, che ha concluso in questo modo la sesta conferenza semestrale di Enam (European Network of American Alumni Associations) Smart Cities for a Better Europe, svoltasi il 12 giugno scorso al Centro Studi Americani di Roma.
Tutti percepiamo cos’è una città intelligente. La immaginiamo tecnologica, innovativa, verde, sostenibile, creativa, integrata a livello di trasporti. Alcuni esempi già esistono: Londra, Singapore, New York. Il futuro sa già indossare le vesti del presente. Ma se dovessimo codificare tutto questo in una sola definizione potrebbero sorgere delle difficoltà. E gli interventi degli altri relatori presenti alla conferenza internazionale Enam, moderata dalla giornalista Maria Latella, socia di Amerigo, non fanno altro che irrorare di linfa le parole di Lopez Ibor. Ognuno di loro ha infatti espresso una propria visione di smart city o comunque evidenziato un aspetto particolare su cui insistere.
Massimo Cugusi, segretario generale di Enam, si sofferma sui dati come fonte essenziale delle smart cities: siamo nell’era dei big data e la mole enorme di numeri a disposizione, se fatta propria e interpretata, è di grande aiuto nel tracciare programmi. Ma Cugusi rammenta anche la tendenza a guardare sempre più ai “quartieri” intelligenti, oltre che alle “città” in quanto tali.
Se Cugusi si concentra sugli aspetti micro, il presidente di Amerigo Vito Cozzoli, braccio operativo italiano di Enam, tira in ballo la dimensione macro. La “taglia” delle smart cities può essere anche più larga di quella determinata dal confine amministrativo urbano. Si possono pensare “persino in chiave macro-regionale, e vengono in mente, in questo senso, realtà come Londra e Shanghai”.
Smart, a ogni modo, può esserlo anche un Paese. Perché, come sostiene il sottosegretario all’Economia Simona Vicari, le smart cities possono assurgere a “volàno di politica industriale per rendere l’Italia una smarter nation”.
“Smart Cities for a Better Europe”, il titolo della conferenza internazionale Enam, è molto programmatico e segna un cambio di passo: indica che lo Smart City Tour promosso nel corso dell’ultimo anno dall’Associazione Amerigo in varie città italiane prova a diventare continentale. Anche se Andrea Gumina, Program Manager dello Smart City Tour Europe, non nasconde la speranza che il quadro possa allargarsi all’Eurasia. Ma intanto c’è l’Europa. E l’ambizione è alta. Si tratta di mettere assieme innumerevoli tasselli.
La crescita, l’evoluzione e lo sviluppo delle smart cities vanno comunque finanziate. Sul piano europeo questo processo, al momento, non è fluido, sia perché l’Ue ragiona in termini di aggregazioni regionali, come rammenta il presidente dell’Osservatorio Smart Cities dell’Anci Francesco Profumo, sia perché come sottolinea Daniela Rondinelli, esponente del Consiglio economico e sociale europeo, i potenziali bacini di risorse attualmente disponibili sono troppi e la chiarezza ne risulta penalizzata.
Una storia virtuosa, in quest’ottica, arriva dall’Italia. Il progetto Smart & Start, lanciato da Invitalia, l’agenzia pubblica incaricata di attrarre investimenti dall’estero e promuovere il sistema impresa, è diventato un motore per la creazione e l’affermazione di aziende innovative. E ora la stessa Invitalia, come afferma l’amministratore delegato Domenico Arcuri, si appresta a investire nell’equity delle startup.
E se Bruxelles facesse lo stesso? L’idea non sarebbe fantapolitica. Del resto l’innovazione e la tecnologia sono al centro del progetto di città intelligenti.
E su questo, alla conferenza dello scorso 12 giugno, erano tutti d’accordo.